mercoledì 26 agosto 2015

ANDARE PER LE "TRE CIME DI LAVAREDO"

Devo confessarvelo: frequento San Candido e la Val Pusteria dall’estate del ’74 ma, pur ritenendo l’Alto Adige la mia seconda heimat, non ero mai stato – per vari motivi che non sto qui a spiegare – alle Tre Cime di Lavaredo. Gap che ho finalmente colmato in questo mese di agosto.

Per chi, come me, si trova a dovervi andare per la prima volta, diventa quasi scontato fare una ricerca su internet per individuare il percorso più bello (ma anche più comodo) per prodursi nell’agognata ascesa. Spero quindi, col mio blog, di essere d’aiuto a tutti i neofiti. Considerate infatti che i principali punti di partenza situati a valle nella Pusteria, Fiscalina o Landro oscillano tra i 1200 e i 1500 metri d’altezza (1750 il lago di Misurina, ma siamo già in Cadore) e che le mete d’arrivo, ovvero i rifugi Auronzo a sud-ovest e Locatelli a nord-est, stazionano rispettivamente a quota 2300 e 2400 metri.


Come affrontare quindi il non semplice dislivello? Beh, certamente se siete escursionisti già rodati non avete che  l’imbarazzo della scelta e in alcune ore (es. 3 e ½ dal parcheggio a fine strada della Fiscalina con arrivo al rifugio Locatelli) godrete dello splendido privilegio dei cucuzzoli che lenti e meravigliosi si apriranno davanti ai vostri occhi (un po’ come accade alle ultime curve prima di entrare in Urbino con l’incomparabile mole del Palazzo Ducale). Lo svantaggio? Considerato il tempo per una sosta e quello per la successiva discesa, non credo abbiate voglia o energia per produrvi in uno dei percorsi intorno alle montagne incantate, tra laghi alpini, strapiombi mozzafiato e grotte scavate nella roccia.

L’alternativa è naturalmente spostare in alto il campo base, utilizzando mezzi propri o pubblici per giungere sul lato sud-ovest delle Tre Cime, ovvero il mega parcheggio presso il rifugio Auronzo. Opzione scelta anche dal sottoscritto col suo compagno d’avventura. Da qui numerose le possibilità che ogni escursionista ha davanti. Se avete optato per il pullman (il biglietto a/r da Dobbiaco costa 14 euro ed è acquistabile a bordo) davanti a voi la doppia scelta di un ritorno comodo sul sedile o di quello ramingo verso la vostra meta di vacanza (ma anche altrove, riprendendo la corriera da qualche fermata intermedia o esibendovi in un professionale hitch-hike). Se avete invece optato per l’auto propria, oltre a essere vincolati a questa dovete anche mettere in conto il pedaggio di 24 euro per l’ultimo tratto di strada prima del parcheggio (gratuito) sotto l’Auronzo. Spesa ovviamente ammortizzabile se siete almeno 2 compagni di cordata (o di merenda) e che vi darà la possibilità di ricevere in omaggio un’aggiornata mappa con gli interessanti percorsi di nordic walking.

Flora alpina sulle Tre Cime: in primo piano il CARDO SELVATICO

Una volta raggiunti i due rifugi (Auronzo o Locatelli che siano), molteplici sono ancora una volta le opzioni possibili. Limitandosi all’area strettamente intorno alle Tre Cime, il percorso che non potete perdervi per nulla al mondo è quello che circumnaviga le montagne (indicato sulla mappa sottostante col colore VIOLA) e che, sul lato nord, potete effettuare dal “basso” o duecento metri più in alto, sospesi tra il ghiaione e le pareti verticali. Il livello di difficoltà è comunque sempre minimo e ho potuto vedere a fianco a me sia bambini di 5 anni che anziani con cani al guinzaglio. Questo circuito vi permetterà di scoprire la flora alpina (dal cardo selvatico alla genziana, dal papavero alpino alla mitica edelweiss), la fauna (dal gracchio alla marmotta, dal camoscio alle aquile), osservare la sorgente del fiume Rienza, i tre laghi di Lavaredo e produrvi in fuori pista tra prati, ruscelli e pascoli. Il tempo di percorrenza complessivo, dal rifugio Auronzo al rifugio Lavaredo (lato sud delle montagne), poi rifugio Locatelli e ritorno all’Auronzo lungo il lato nord, è dato in 3 ore ½. 


L’alternativa è il giro del Monte Paterno che prevede due opzioni: una facile e l’altra solo per esperti. La prima (percorso ARANCIONE nella mappa sopra), dopo la partenza dal rifugio Lavaredo e il pit stop al Locatelli e ai laghi dei Piani, si allarga fino al rifugio Pian di Cengia (con eventuale deviazione al Comici, sospeso tra la Cima 11 e 12) con ritorno al Lavaredo. La seconda (percorso CELESTE) ha in comune l’andata dal Lavaredo al Locatelli, ma il ritorno tramite angusti passaggi tra gallerie scavate nella roccia e tratti protetti solo da corde metalliche, pertanto affrontabile con torce elettriche individuali, attrezzatura da ferrata e assenza di claustrofobia e vertigini. Il primo iter ha un livello di difficoltà minimo ma una durata di circa 4 ore ½, il secondo si “limita” a 3 ore.

Per scendere fino a valle, liberi da auto e altri condizionamenti, ancora molteplici sono le possibilità a seconda del versante prescelto. Dal rifugio Locatelli, attraverso il sentiero 102 verso est (anche CICLABILE) si giunge in Val Fiscalina e da lì a Sesto-Moso. Il medesimo sentiero (altrettanto CICLABILE) se imboccato dalla parta opposta (verso ovest) conduce al lago di Landro sulla Statale che collega Dobbiaco a Cortina. Altre possibilità dal Locatelli sono imboccare il sentiero 101-103 verso sud (CICLABILE solo la seconda parte) con arrivo a Giralba e Auronzo di Cadore, oppure prendere il 105 verso nord per terminare in 2 ore al rifugio Tre Scarceri e di lì a San Candido tramite sentiero a valle (Campo di Dentro) o a monte (dalla Piccola Rocca Baranci). Non mancano ovviamente numerose altre possibilità per scendere dal rifugio Auronzo fino al lago di Misurina, lungo la strada che conduce ad Auronzo di Cadore.

Pascoli intorno a uno dei tre laghi di Lavaredo

Per terminare, un paio di curiosità storiche sulle Tre Cime di Lavaredo. Il picchio più alto (ovvero quello posizionato al centro, 2999 metri) è stato scalato la prima volta nel 1869 dall’escursionista viennese Paul Grohman. Durante la Prima Guerra Mondiale, infine, queste montagne sono state teatro di sanguinose battaglie e alcuni resti di acquartieramenti sono tuttora visibili.




P.S. Un ultimo consiglio: cercate di non intraprendere la gita in una giornata con troppe nubi. Come potete infatti vedere dalle foto qui pubblicate (tutte a opera del sottoscritto) la nebbia potrebbe ostacolare la visione completa delle montagne con relativo giramento...di testa!


giovedì 21 agosto 2014

VINI, STORIA E CASTELLI TRA PONTASSIEVE (FI) E DINTORNI

 

Se ti ritrovi a passare il Ferragosto in campagna – nei dintorni di Pelago, per l’esattezza – e sei un amante di vini, misteri e antichi manieri, non è difficile riuscire a passare una bella giornata scoprendo luoghi affascinanti e sconosciuti ai più. Ecco quindi un breve itinerario tra borghi e paesi lontani dal turismo di massa del Chianti e dei grandi centri urbani.

Il punto di partenza del nostro breve viaggio è Pontassieve, quindici minuti da Firenze imboccando la SS 67 in direzione Arezzo e strategico snodo ferroviario e stradale verso Roma e la Romagna. Il primo insediamento (e il primo toponimo) fu il Castel S. Angelo, costruito dai fiorentini in pieno Medioevo. L’attuale nome è dovuto invece al ponte mediceo fatto edificare sulla Sieve: fiume che dopo un centinaio di metri confluisce nell’Arno. Dell’antico maniero e fortificazioni restano solo tre delle quattro porte (Filicaia, Fiorentina, Aretina o dell’Orologio) nella parte più alta del paese, inglobate in moderne costruzioni ma sempre affascinanti da vedere. Dolce e rilassante per chi – come me – ama il lento e silenzioso scorrere dell’acqua è il percorso lungo la Sieve che si dipana dall’antico ponte in mattoni rossi verso l’interno della vallata.


Da Pontassieve, imbocchiamo la SS 70 verso la Consuma. Il primo ricordo di antiche storie che incontriamo è Nipozzano, toponimo che suona un po’ come “luogo senza pozzo”, ovvero scarso di acqua. Ex minuscolo borgo fortificato predominato dal castello, è appartenuto sin dall’XI secolo ai conti Guidi (famosi signori del Casentino), per poi passare agli Albizi e, di mano in mano, fino ai Frescobaldi, attuali proprietari, che ne hanno fatto anche un ottimo punto d’incontro vitivinicolo. Notizie sul vino locale sono d’altronde già presenti in epoca rinascimentale, quando artisti come Donatello e Michelozzo erano soliti acquistare nettari provenienti da queste proprietà. Fu un antenato dei Frescobaldi che nel 1855 investì ben 1000 fiorini d’argento per iniziare la coltivazione di qualità sinora sconosciute in Toscana come Cabernet e Merlot, il cui mix ha dato origine al celebre vino “Mormoreto” degustabile – insieme a tutti gli altri – nella splendida cantina della tenuta. Severamente danneggiato dalla guerra del 1944 – così come la piccola adiacente chiesetta di S. Niccolò – il castello ha perso le due cinte murarie, ma resta un’imperdibile meta per un tuffo nel Medioevo e in un buon bicchiere di vino doc.


Una breve deviazione dalla SS 70 ci permette di visitare l’antico borgo di Pelago. Per i più, il paese è legato a una storico happening estivo di artisti di strada (“On the Road Festival”), ma gli amanti della storia sappiano che le sue origini si perdono nella notte dei tempi, tra etruschi e romani, e anche il significato del nome (“mare” oppure “massa d’acqua”) pare facesse riferimento a un antico bagno minerale presente all’epoca sulla SS 70 in direzione Pontassieve. Attraversando la strada di accesso, si arriva nella piazza principale del paese, con lo storico ex Palazzo Cattani divenuto a inizio Novecento sede del Comune, e un’accogliente trattoria di paese che ancora pubblicizza in bella vista “fagioli e bietole” come parte del menu principale. Dalla piazza, tramite una breve strada lastricata prima in discesa e poi in rapida salita, si accede all’antico castello (attestato in documenti nel 1089 come proprietà dei Conti Guidi) o quello che ne resta: le vecchie ali, infatti, sono state nel corso dei secoli ristrutturate, modernizzate e adibite a civili abitazioni, ma se quando si passa sotto il vecchio campanile della quattrocentesca Pieve di S. Clemente e si entra nel chiostro dell’antico maniero (attualmente giardinetto pubblico dove gli anziani, uscendo dalle adiacenti case, si siedono con la propria seggiola per fare conversazione), basta chiudere qualche istante gli occhi per lasciarsi trasportare da antiche storie e ricordi.


Risalendo alla fine del paese sulla SS 70, ci ritroviamo nell’abitato di Diacceto che s’inerpica a 500 metri d’altezza sfidando dall’alto Pelago, la valle di Vicano con i suoi castagneti e tutti i vigneti e ulivi che di qui a poco lasceranno il posto a boschi e foreste. L’origine del nome pare di derivazione tardo latina e indica il “diaccio”, ovvero il clima fresco che si respira a questa altezza: un po’ uno spartiacque tra la calda città e la fredda montagna che di lì a poco accoglie tutti i visitatori con i quasi impensabili 1000 metri del passo della Consuma. Il ricordo del Medioevo in questo paese è molto tenue e si limita a Villa Ciofi, residenza privata più volte rimodernata e costruita sopra un vecchio castello del XIV secolo, appartenuto a vari casati tra cui la famiglia Cattani. Dell’antico maniero resta però solo una torre, oramai inglobata nell’attuale residenza. La pieve di S. Lorenzo, chiesa del paese, è stata anch’essa rimodernata ma ospita una terracotta di Giovanni della Robbia a tema “Madonna con bambino”.

Usciti dal paese lasciamo definitivamente la SS 70 per dirigerci verso Ferrano, minuscolo borgo costruito lungo la stretta strada d’accesso. Ad accoglierci troviamo subito uno splendido castello con le sue torrette di guardia. Anche se un documento del 1098 attesta la presenza di un grosso maniero in loco, non lasciatevi tradire dall’apparenza: quello che avete davanti è della metà del XIX secolo, fatto costruire in stile gotico dalla famiglia De Grolè Virville. Torrini e muro di cinta sono addirittura del 1940, innalzati per dividere la proprietà dalla stretta strada. Ma voi fate finta di nulla, respirate a pieni polmoni e, se ne avete voglia, scegliete anche di trascorrervi un romantico finesettimana. Dall’altra parte della strada, una fonte sovrastata da un tabernacolo a tema religioso e, più in alto, la ex chiesa di S. Maria, soppressa come parrocchia nel 1574, ridotta in passato a fienile, ma ora sulla via del recupero. Superato il castello, incrociamo la piccola chiesa di S. Pietro, ricordata già nel XII secolo ma notevolmente modificata nel corso dei secoli. Al suo interno, un trittico di scuola fiorentina del XV secolo raffigurante una Madonna col Bambino. Usciti dal paese, la strada diventa sterrata ma praticabile anche in auto. L’ultimo baluardo, prima di entrare in mezzo al nulla (o al tutto) di secolari castagneti, è un’antica chiesetta sconsacrata e abbandonata, con la croce semi divelta ma accessibile tramite larghi scalini in pietra di chiara origine romanica. All’interno un affresco con la storia di un Cristo oramai lasciato alla ingloriosa mercé del tempo e i resti di un recente focolare. Costruita chissà quando in prossimità del ponte sul torrente Vicano, ben offre il senso di quello che stiamo per affrontare: alcuni chilometri immersi nel silenzio di alti alberi fatati, come trasportati dalla storia e dall’incedere di antichi misteri e magia.


Quando usciamo dalla boscaglia, uno splendido verde con girasoli e grida di bambini in festa ci accoglie: ci troviamo a Ristonchi (dall’etrusco Ristona, ovvero “cresta”), altro ex minuscolo borgo in mezzo al Valdarno e alla meravigliosa campagna toscana. Subito di fronte a noi si erge la splendida e compatta torre in pietra, ricordo dell’antico maniero medievale del XIII o forse XII secolo. Lo storico medievale fiorentino Giovanni Villani narra che in questa possente rocca si riunirono, tra il 1248 e il 1253, i Guelfi esiliati dal capoluogo. Accanto, la vecchia Chiesa S. Egidio visitabile solo di mattina. Come a Ferrano, anche questa rocca offre la possibilità di tranquilli soggiorni o, per chi come il sottoscritto è di passaggio, di una buona bottiglia di vino bianco o rosso “Fattoria di Castiglionchio”, prodotto nell’omonima tenuta di famiglia sopra Rosano.


Proseguendo lungo la strada in discesa, oramai tornata asfaltata, ci ritroviamo nell’abitato di Paterno dove ad accoglierci c’è la vecchia torre con l’orologio dell’ex Castel Sofia, ormai rimodernato e riportato a nuova vita come agriturismo e fattoria “Il Peraccio”.

Scendendo verso il Carbonile, prima di abbandonare definitivamente il bosco, sulla destra troviamo le indicazioni per salire al vecchio borgo di Altomena, toponimo forse etrusco di una località con castello risalente almeno al 1080. L’antico maniero del XII secolo, appartenuto anch’esso ai conti Guidi, come molte alte costruzioni di zona è stato nel corso del tempo trasformato prima in villa, poi nell’attuale fattoria che ha inglobato l’antica torre e la chiesa di S. Niccolò. La famiglia Sartori, attuale proprietaria, effettua la vendita diretta dei prodotti del luogo, come vino Chianti doc e olio.


Rientrando sulla strada e lasciandoci alle spalle, sulla destra, anche un piccolo borgo senza nome, quasi fantasma, increspato sull’altura di un colle con vecchie coloniche in pietra tuttora abitate ma visibilmente rovinate dal tempo, ci ritroviamo in località Carbonile sulla SS 69. La nostra gita è per ora terminata e Pontassieve, a un tiro di schioppo, ci aspetta nuovamente.

mercoledì 13 agosto 2014

A UN PASSO DA...SAN CANDIDO


Per la maggior parte dei nostri lettori (e non solo) la località altoatesina di San Candido, situata in posizione strategica a due passi dal confine di Stato con l’Austria e da quello regionale col Veneto, rappresenta solamente la location della fiction televisiva di Rai 1 “A un passo dal cielo”, interpretata dal sempreverde parroco-pistolero-forestale Terence Hill. Ma per quelli come me che la giudicano quasi una seconda patria, trascorrendovi le estati e gli inverni dalla tenera età di 1 anno – con l’aggravante di essere personalmente figlio di una delle prime turiste del centro Italia, presenza ininterrotta da fine anni ’50 alla sua morte – vedere quelle splendide immagini da cartolina in tv è un ulteriore riconoscimento verso un paese dove lascio sempre un pezzo di cuore. E detto, tra noi – di nascosto da mia moglie – dove vorrei vivere un giorno l’ultima parte della mia vita.


Il centro del paese durante le riprese

Certo, questo galleggiare al centro dell’attenzione degli ultimi anni, come una diva da prima pagina, ha anche i suoi risvolti negativi: quasi una Cortinizzazione” del paese – se mi si passa il termine – in cui vi si trascorre l’estate (o qualche inverno) non tanto per godere delle bellezze artistiche e paesaggistiche, quanto per dire “io c’ero, io ci sono stato”.

A tutti questi turisti cool, da aperitivo all’aperto nella piazza principale e da selfie in costume da bagno in qualche prato rigorosamente a bassa quota, ma anche a tutti coloro che il paese l’hanno visto solo in televisione, voglio raccontare l’altra San Candido: quella vera, ricca di storia, cultura, meravigliosi paesaggi, passeggiate e ottimi impianti sciistici per lo sport invernale.




- Un po’ di storia -
Le prime testimonianze di vita nel paese risalgono intorno al 1000 a.C.. Ritrovamenti archeologici sui Monti San Candido hanno portato alla luce oggetti di uso quotidiano e resti di nuclei abitativi appartenenti al popolo balcanico degli Illiri, ben noto ai Greci e ai Romani. Per la posizione strategica sull’importante via di comunicazione verso est, divenne successivamente ambita stazione di transito sia per i Celti, che su questi monti abitarono intorno al 500 a.C. - in particolare i Reti che si insediarono in tutta l'Alta Pusteria - e ai quali si deve probabilmente il toponimo tedesco Innichen (da Indiacu, “possedimento di bella immagine”), sia per i Romani, che vi giunsero nel 15 a.C. per poi proseguire in direzione Aquileia. Dall’unione della lingua Latina con il precedente dialetto Celto-Illirico prese forma il Ladino, parlato tuttora in alcune vallate altoatesine.

Fondamentale fu il periodo di dominazione romana, non solo per la creazione di un centro urbano vero e proprio - da loro chiamato Littamum - ma anche per i ritrovamenti archeologici. Nel corso dei lavori di ristrutturazione dell'Hotel Villa Stefania (lungo il fiume Drava, in direzione Versciaco) sono stati infatti riportati alla luce resti di antiche terme risalenti al II-III secolo d.C.. Trattasi di parti del pavimento originale, sotto il quale è stato rinvenuto pure una sorta di impianto di riscaldamento. 


Il resti del pavimento riscaldato presso le antiche terme

La fine dell’Impero Romano d’Occidente e la relativa assenza di un forte potere costituito portò a continui raid e invasioni da parte degli Unni e a lotte tra Slavi e Baiuvari (popolo germanico proveniente dalla Boemia, stanziatosi poi nell’attuale Baviera) per la conquista del territorio. Alla fine furono questi ultimi a spuntarla e il duca Tassilo III, di fede cristiana, nel 769 fece costruire proprio a San Candido un’abbazia dei Benedettini come avamposto per la conversione degli Slavi infedeli. Questa data viene universalmente riconosciuta come quella della fondazione vera e propria del paese.

Tutto il territorio del Tirolo (compresa l’intera Pusteria) entrò alla metà del XIII secolo nell’orbita della contea di Gorizia fino al 1500 quando, alla morte di Leonardo V, ultimo conte, passò per linea diretta a Massimiliano I di Asbugo, i cui successori regnarono fino alla sconfitta austriaca nella Grande Guerra. Come sappiamo, San Candido divenne infine italiana. Vale la pena, a conclusione, ricordare che il 3 marzo del 1945, agli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale, il paese fu bombardato dagli Alleati che distrussero – tra gli altri – lo storico convento dei Francescani successivamente ricostruito.



- Arte e cultura -
Con una storia che attraversa magistralmente antichità ed epoca moderna, numerose restano le testimonianze e i monumenti da visitare con stili che spaziano dal romanico al barocco.
Un ottimo esempio è la Collegiata[1], ovvero quel Duomo universalmente considerato come il miglior esempio di romanico di tutto l’arco alpino. La chiesa venne eretta nel XIII secolo al posto del citato convento benedettino (il campanile è invece del secolo successivo) e fu subito dedicata prima a San Candido (ecco svelato il toponimo italiano!), protettore del duca Tassilo III, fondatore del paese, e decenni dopo anche a San Corbiniano, patrono della cittadina bavarese di Frisinga, della cui diocesi faceva parte. Assolutamente da vedere gli affreschi interni, del XV-XVI secolo, la cripta e il crocifisso in legno con uno splendido Cristo che sovrasta curiosamente la testa di Adamo (a significare che è lui il nuovo uomo a differenza dell’altro egoista e peccatore), con ai lati Maria e Giovanni: la Chiesa che va avanti, che si espande anche dopo la sua morte.
All’esterno dell’edificio, oltre al cimitero amato al crepuscolo da tutti i giovani turisti filo-gothic, consigliabile una visita alla Prepositura del XIV secolo che ospita il museo, la biblioteca e l’archivio della Collegiata stessa. Da vedere sei secoli di sculture e pitture di scuola sancandidese, un magnifico esempio di stube del 1560, un messale risalente al XV secolo, alcune opere originali del filosofo giramondo di origine catalana Raimondo Lullo (1235-1316) e l’intera biblioteca appartenuta all’umanista Niccolò Polo (XV secolo): tutti indizi che dimostrano l’importanza del paese e della Collegiata anche come centro di ricerca scientifica.


La Collegiata

Per la cura quotidiana delle anime fu invece fatta edificare l’adiacente chiesa di San Michele, documentata già nel 1241 ma certamente più vecchia. La costruzione originale andò bruciata nel 1735, cosicché fu rifatta nello stile barocco dell’epoca e ultimata nel 1760. A differenza della Collegiata, la chiesa ha una sola navata ma è comunque impreziosita da splendidi affreschi sulla vita di San Michele eseguiti da Cristoph Mayr, pittore proveniente dalla cittadina austriaca di Schwaz.
La presenza del citato Convento dei Francescani, terminato nel 1698, fu osteggiata in ogni modo dal resto del clero locale, ma l’amicizia che legava l’ordine all’imperatore Leopoldo I fece sì che venne comunque ultimato. Il clima ostile e qualche sonora “gufata” parvero comunque protrarsi attraverso i secoli, visto che l’edificio fu non solo bombardato nel marzo del ’45, ma subì anche numerose alluvioni dell’adiacente Rio Sesto: non ultima quella del novembre 1966 che molti italiani (fiorentini in primis) ancora ricordano con timore. Da vedere nel chiostro ben 31 tavole sulla vita di Francesco dipinte nel 1709 dal frate Lukas Plazer.


L'interno di San Michele

La cappella Altoetting e del Santo Sepolcro è una curiosa costruzione composta da ben due cappelle addossate l’una all’altra: la prima ricorda quella della città bavarese di Altoetting, l’altra è un’imitazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme. L’idea venne a Georg Paprion, amante di entrambi gli stili, che così le ricostruì nel XVII secolo. Da vedere all’interno alcuni affreschi a cura della bottega del sancandidese Schranzhofer. L’imperatore tedesco Federico III se ne innamorò a tal punto che su questo ibrido modello fece erigere il suo mausoleo a Potsdam.
La residenza Frankenegg è invece una ex chiesa situata in via duca Tassilo 17, riconoscibile dagli infissi con i classici colori bianchi e rossi. Affascinante la cosiddetta “sala veneziana”, ideata nel 1720 da un artista lagunare con, tra gli altri, alcune mascheroni carnascialeschi scolpiti sulle pareti.

Appena fuori paese, il Castello del conte d’Acquarone, residenza privata appartenuta dopo la Grande Guerra a un ministro della real casa di Savoia, che contiene una delle più ricche collezioni al mondo di trofei venatori, e i bagni di San Candido: ex complesso di terme refrigeranti già frequentate nel XVI secolo da nobili e aristocratici. Oltre a poter bere acque di varia e ottima qualità (dagli anni ’60 trasportate in paese tramite una conduttura e imbottigliate con l’etichetta “Kaiserwasser”, essendo storicamente di grande gradimento sia per gli imperatori tedeschi Guglielmo e Federico che per l’austriaco Carlo) è ancora possibile vedere la struttura ormai fatiscente del vecchio Grand Hotel costruito nel 1856 (il più grande dell’intera Pusteria dopo quello di Dobbiaco, con 120 camere e 200 posti letto) e andato pian piano in rovina dopo la brusca fine del turismo dovuto alla Prima Guerra Mondiale, e visitare l’adiacente cappella dedicata a San Salvatore, anno domini 1594.


I resti del Grand Hotel

- Turismo, curiosità e spot invernale -
Frequentato – come detto – da imperatori tedeschi e austriaci, il paese già alla vigilia della Grande Guerra era meta turistica ambita, con villeggianti provenienti soprattutto da Austria, Ungheria, Prussia e nord Italia. Molte, se paragonate a una popolazione di residenti stabilmente intorno alle 3000 unità o poco più (erano 2600 nel 1950), sono le seconde case: 210 nel censimento del 2000, 316 in quello del 2007, anche se il Comune di San Candido cerca in ogni modo di scoraggiare la pratica[2]. Un buon disincentivo sono certamente i prezzi, ormai stabilmente sui 6000 euro/mq nonostante la crisi degli ultimi anni che ha portato a un generale abbassamento ovunque (a Cortina superano ancora i 10.000 euro!). E a qualcosa l’alto listino deve essere servito, visto che da un paio d’anni sulla facciata di alcuni appartamenti compare la medesima scritta “Zu verkaufen”.

Se gli amanti dello shopping e della vita sedentaria non resteranno delusi, tra negozi alla moda e una piscina super attrezzata, a godere saranno ancor di più i teorici della “sgambata”. Il bello di San Candido è, infatti, l’accessibilità di boschi, sentieri e impianti di risalita direttamente dal paese. Molte le facili passeggiate eseguibili con un comodo paio di scarpe (verso i Baranci, le sorgenti della Drava – unico fiume italiano che attraversa ben 5 stati diversi! – , la valle di Dentro col rifugio dei Tre Scarperi) o pedalando dolcemente verso Dobbiaco, Versciaco o addirittura Lienz. Non preoccupatevi: i 45 km di distanza hanno un favorevole dislivello di ben 600 metri all’andata, con possibilità di ritorno in treno con bici a seguito. Per i più piccoli, oltre a un parco giochi su una collinetta che sovrasta il paese, anche la novità del Funbob: una monorotaia di 1700 metri che dal rifugio Haunold trasporta fino a valle dei piccoli bob in metallo.


Il fun bob

San Candido è rinomata anche per lo sport invernale, con impianti e piste accessibili poco fuori dal centro del paese, a differenza di quasi tutte le altre località della Val Pusteria. Curiosa la loro nascita. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si cercò di creare anche il turismo invernale. Per non rovinare i pascoli, fu inizialmente prescelto il versante sotto i Monti San Candido e molti ancora ricordano, nel 1948, una sorta di slitta cumulativa trainata da un verricello per salire ad “alta” quota. L’esperimento però durò poco, così come quello di piccoli ganci a cui attaccarsi singolarmente, e fu poco dopo sostituito dal trattore di un contadino che, a pagamento, portava in vetta i primi sciatori. Ma a causa dei costi eccessivi e dal fatto che la neve su quel versante a fine gennaio era già sciolta, l’Azienda di Soggiorno decise di ripensare drasticamente la location e nel 1956, per 22 milioni delle vecchie lire, fece costruire sul lato Baranci la vecchia seggiovia monoposto. Per i principianti, nel 1959 ecco anche lo skilift sulla collinetta “Castello”. Col crescere dei consensi, presero pian piano forma tutti gli altri impianti di risalita, lo skilift principianti fu trasferito nel 1977 nell’attuale prato a valle e nel 1979 la seggiovia divenne a due posti. L’ultima trasformazione nel 1994 con i nuovi seggioloni a 4 posti e il trasferimento a valle (prima era all’altezza degli impianti sportivi) accanto allo skilift baby.


Sci sotto il rifugio Baranci


- San Candido e il cinema -
No, non voglio parlarvi della mini arena all'interno del centro Josef Resch, ma del cinema con la "C" maiuscola: quello che vede come protagonista il paese e i suoi figli. Poichè è sin troppo banale raccontare della già citata fiction con Terence Hill, voglio stupirvi con ben due storie di cui nemmeno il sottoscritto era a conoscenza. 
La prima è datata 1954. In quell'anno esce infatti al cinema il film "Orient Express" del grande regista Carlo Ludovico Bragaglia. La storia di per sè non è niente di particolare. Un treno internazionale (il nome Orient Express in quegli anni evocava uno straordinario fascino esotico) rimane bloccato per una frana in un paesino di montagna (San Candido), facendo nascere storie impensabili e amori impossibili tra i passeggeri e gli abitanti del luogo. Non vi preoccupate: gli attori non sono Herr Senfter o Frau Schaefer, bensì divi veri e propri come Silvana Pampanini (già protagonista all'epoca di pellicole quali "Bellezze in bicicletta" o "I pompieri di Viggiù"), la splendida ungherese Eva Bartok, i francesi Henri Vidal e Robert Arnoux, il tedesco Carl Jurgens, il nostro Folco Lulli (già in "Napoli milionaria"). La pellicola non ottenne - ahimè - uno straordinario successo ma chissà...magari, allora come adesso, dette un grande input al turismo di massa.



La seconda storia cinematografica riguarda invece un protagonista in carne e ossa: il regista Georg Tschurtschenthaler. Sicuramente il nome non evoca sold out da botteghino, ma il buon Georg è stato candidato nel 2004 al prestigioso premio "International Emmy Awards", assegnato ai migliori programmi televisivi prodotti al di fuori degli Stati Uniti d'America. Il regista altoatesino era stato inserito nella sezione "Arts Programming" per il lavoro Wagnerwahn, documentario sulla vita del compositore tedesco. Tschurtschenthaler collabora attivamente con la prestigiosa casa di produzione berlinese Gebruder Beetz e ha fondato a Bolzano la propria Echo film, con la quale cerca di valorizzare artisti altoatesini.


Nella speranza di non avervi tediato troppo, il mio saluto nasce spontaneo: arrivederci a presto a San Candido!





Le foto utilizzate per questo servizio sono tratte dal web o dall'Almanacco Alta Pusteria.


Bibliografia
KUHEBACHER, E., La marca di San Candido, Bolzano, Athesia, 1980
KUHEBACHER, E., Paesaggio culturale e artistico del territorio di San Candido, Associazione turistica di San Candido, 2003
EPPACHER, F., La collegiata di San Candido, Parrocchia di San Michele, 2011
WATSCHINGER, H., Dove si scia qui?, San Candido, Haunold, 2005
BOCHER, G., Dobbiaco all’alba del XVI secolo, Circolo culturale Alta Pusteria, 2006
ALMANACCO ALTA PUSTERIA, Estate 2015





[1] La “collegiata” è una chiesa di una certa importanza che non è sede vescovile (pertanto non può fregiarsi del titolo di cattedrale) ma nella quale è istituito un collegio di canonici.
[2] Linee guida del Comune di San Candido, Comune di S. Candido, 2009

giovedì 21 novembre 2013

DOBBIACO TRA STORIA, TURISMO D'ELITE, GUERRE MONDIALI E…FERROVIE

Ogni tanto mi sono chiesto se solo le grandi città hanno una data di fondazione che si perde nella notte dei tempi. La risposta, alla luce dei fatti che andrò a raccontarvi, è assolutamente negativa. Notizie relative a Dobbiaco – per chi non la conoscesse, ridente località turistica altoatesina a cavallo tra Veneto e Austria – sono infatti già presenti in documenti risalenti all’827 d.C. dove compare col toponimo di Duplago: sì, esattamente il nome della vecchia discoteca sulla strada della Valle San Silvestro che negli anni ’90 riempiva i finesettimana di noi giovani turisti in cerca di variazione sul tema!

Una tesi[1] ha affermato l'origine del nome dal latino Duplagum, ovvero "due acque". Soluzione plausibile, in quanto nelle vicinanze del paese si trovano sia due laghi (Dobbiaco e Landro), sia le sorgenti di due importanti fiumi (Drava e Rienza). Ricordiamoci, a tal proposito, che tutto il territorio al di qua delle Alpi (e non solo) fu terra di conquista dei Romani che in questa vallata nel 15 a.C. fondarono anche Littamum, l’odierna San Candido, e successivamente costruirono la vecchia strada della Val Pusteria. Itinerario non ancora del tutto rintracciato anche se sappiamo, grazie al rinvenimento di una pietra miliare del 247 d.C., che attraversava il Rio San Silvestro in località Grazze, proprio nel comune di Dobbiaco.




- Principi, musici e banchieri -
Il nucleo storico del paese, sviluppato intorno alla chiesa di San Giovanni Battista (di origine gotica ma completamente rifatta in stile tardo barocco nel XVIII secolo) e al castello medievale Herbstenburg (vedi dopo), vive sospeso tra Valle San Silvestro e il Monte Rota, il Rio San Silvestro e la Rienza, e osserva con apparente distacco la Strada Statale 49 Bressanone-Austria, la ferrovia Fortezza-Lienz e soprattutto il suo fratello gemello (ma sarebbe meglio definirlo "fratello minore") Dobbiaco Nuova, creato ufficialmente solo nel 1890 con l’apertura di ulteriori strutture alberghiere che facevano compagnia al già presente e rinomato Grand Hotel. A sua volta inaugurato nel 1878 per accogliere i viaggiatori provenienti dal cuore dell’Impero Austro-Ungarico. 

Un immagine recente del Grand Hotel

Alla fine del XIX secolo, il paese risultava infatti essere uno dei principali centri di villeggiatura estiva (le stagioni turistiche invernali partiranno solo a cavallo tra le due guerre, negli anni ’30 del ‘900) del Tirolo[2], inferiore solo a Merano, Gries, Arco, Innsbruck. Prova ne sia che proprio qui a Dobbiaco, da metà ‘800, hanno soggiornato numerosi nobili, banchieri come il famoso Barone Rothschild, principi come l’erede al trono tedesco Federico Guglielmo (dal 1888 Federico III), il re Leopoldo di Belgio e pure Gustav Mahler che, in ferie nel maso Trenker di Carbonin Vecchia, compose la sua “Nona Sinfonia”.
Motivo di ‘sì tanta fama? Certamente lo splendido paesaggio, ma grande attrazione nei tempi andati erano anche le cosiddette “cure dell’acqua”, note sin dal 1511 quando il re Massimiliano I si fermò per un lungo periodo ai Bagni di Pian di Maia per ristorarsi, rilassarsi e recuperare la perduta salute. La località di Bad Maistatt è ancora presente, con una casa di soggiorno ai margini del bosco, una bella chiesetta e naturalmente l’acqua curativa (e potabile!) nella grotta adiacente, raggiungibile percorrendo la silenziosa strada che collega Carbonin Vecchia a Villabassa.


Gustav Mahler


- Le guerre mondiali -
Allo scoppio della Prima Guerra, nel 1914, quell’atmosfera idilliaca che sembrava destinata a durare in eterno, d’improvviso volò via come foglia d’autunno. Il fronte passava a pochi chilometri da Dobbiaco (ve lo racconteremo certamente in uno dei prossimi articoli), così come adesso in soli 10 minuti di macchina si può raggiungere il confine di Stato e quello regionale. Dopo l’ingresso dell’Italia nel conflitto, nel 1915, gli Austriaci lentamente indietreggiarono dai propri possedimenti abbandonando la zona di Cortina (che Massimiliano d’Asburgo aveva strappato a Venezia nel 1511) e trasferendosi prima sui passi Dolomitici, poi verso il cuore dell’Alta Pusteria verso proprio il "nostro" paese[3]. Il borgo di Landro, dove ora resta soltanto l’omonimo lago e una struttura alberghiera, venne totalmente distrutto dalle amiche batterie asburgiche per esigenze di visuale; profonde ferite belliche toccarono il centro di Sesto di Pusteria e Carbonin, ma anche qualche abitazione e albergo della stessa Dobbiaco furono gravemente danneggiate. Il successivo trattato di pace di Saint Germain (1919) smembrò definitivamente il vecchio impero austro-ungarico e assegnò il neonato Sudtirolo al Regno d’Italia. 


Foto d'epoca di Landro (www.toblacco.com e www.tobla.net)

Uno dei punti centrali del fronte - oltre alle Tre Cime - si trovava sul Monte Piano (2324 m) dove in alcuni punti le trincee distavano anche solo pochi metri. Grazie all'associazione "Dolomitenfreunde" è stato allestito in loco un museo all'aperto unico nel suo genere e sempre visitabile durante i mesi estivi. Altri musei simili sono presenti presso la Croda Rossa, Forcella 11 e Prato Piazza, senza parlare delle numerose fortificazioni e bunker tuttora visibili, ad esempio, nei boschi e i prati tra San Candido e Dobbiaco, ma purtroppo non più accessibili. Interessante anche il Museo Dolomythos di San Candido (www.dolomythos.com) Per chi volesse ripercorrere in modo didattico - a 100 anni dell'entrata in guerra dell'Italia - gli storici e sanguinosi combattimenti su queste montagne, la rete e le biblioteche della Val Pusteria offrono numerose possibilità. Dal canto mio, vi segnalo l'archivio fotografico del Tirolo (www.tiroler-photoarchiv.eu), il sito Fronte Dolomitico (www.frontedolomitico.it) e lo specifico libro di Martin Kofler "La Val Pusteria e la guerra 1914-1918".


Immagini di guerra sulle Dolomiti

Terminato il conflitto, il turismo riprese con nuovo impulso alla metà degli anni ’20. Cambiata l’amministrazione statale, i primi villeggianti furono logicamente gli italiani che desideravano scoprire i nuovi territori acquisiti; la maggior parte di essi proveniva dal Veneto, grazie anche alla neonata linea ferroviaria Calalzo-Cortina-Dobbiaco (vedi paragrafo successivo) che univa in un sol colpo Cadore e Sudtirolo: vecchio e nuovo confine. Gli anni ’30 furono quelli della forzata “italianizzazione” dell’Alto Adige ad opera di Mussolini, progetto che inevitabilmente creò qualche malumore con l’alleato tedesco. Ma nel 1939 il Duce e Hitler, che nel frattempo si era annesso l’Austria, trovarono un accordo: i Sudtirolesi avrebbero dovuto scegliersi in totale autonomia la patria definitiva ed eventualmente emigrare nella nuova casa madre Germania. L’86% scelse di partire (a Dobbiaco l’80% degli abitanti) ma la lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e la successiva disfatta tedesca bloccarono l’emigrazione di massa. Per evitare conflitti e spinte irredentiste – che comunque ci furono – il neonato Stato Repubblicano Italiano, come sappiamo, fornì a questi territori la più alta autonomia amministrativa.


Dobbiaco tra le due guerre (www.altapusteria.info)


- Herbstenburg, il castello di Dobbiaco -
Situato in pieno centro, poco più in alto della chiesa parrocchiale e affiancato al cimitero, fu fatto costruire all'inizio del 1500 dai fratelli Caspar e Christoph Herbst, originari del ducato di Kraina (oggi Slovenia). In realtà fu una ricostruzione (o ammodernamento), visto che era  già presente un vecchio torrione di guardia goriziano. Una cinquantina di metri alla sua sinistra, sotto la collina, i nobili fecero edificare anche una torre di guardia, la Torre Rossa (ora albergo), collegata al castello da un corridoio sotterraneo tanto grande da far passare sia uomini che cavalli. Quando scoppiò la guerra tra Austria e Repubblica di Venezia, nel febbraio del 1508, il castello ospitò niente meno che l'imperatore Massimiliano I Asburgo che proprio qua dentro, l'8 ottobre dello stesso anno, convocò la Dieta di Augusta per invitare i principi elettori germanici alla sua causa che si concluderà vittoriosamente tre anni dopo. 

Per ampliare le conoscenze storiche, vale la pena ricordare che Massimiliano salì al trono nel 1493 riunendo sotto il suo controllo un enorme impero che andava dalla Borgogna al Benelux, dal nord-est della Francia all'Austria attuale, dalla contea di Gorizia all'Istria, dalla Boemia alla Trentino-Alto Adige. Cosa mancava per chiudere il cerchio? Ovviamente i territori della confinante Repubblica di Venezia.


La torre rossa di Dobbiaco, in Via...Torre Rossa

Ma torniamo alla famiglia Herbst. I due fratelli Caspar e Christoph, seppur maritati, morirono rispettivamente nel 1523 e nel 1538 senza lasciare eredi. Il castello passò così attraverso vari proprietari, dai Goessl di San Candido ai Klebersberg di Brunico, dai Bossi-Fedrigotti ai Goldegg-Lindenburg. Agli inizi degli anni '60 la residenza fu infine acquistata da una nobile famiglia romana, i marchesi Cavalcabò-Misuracchi-Fratta, attuali proprietari. Non si strappino a questo punto i capelli tutti i radical Medievalisti: Castel Herbst non è purtroppo visitabile!




- Le ferrovie -
Indovina indovinello: qual è la caratteristica strutturale di molte grandi città? Risposta: essere il crocevia di almeno due linee ferroviarie. Ebbene, prendendo questo parametro come riferimento, Dobbiaco fino a qualche anno fa poteva salire tranquillamente sul piedistallo, grazie alla strada ferrata della Val Pusteria e a quella delle Dolomiti. La ferrovia della Val Pusteria entrò in funzione il 20 novembre del 1871, dopo soli 7 mesi di lavori. In circa 5 ore e mezzo (invece delle attuali 2, fermate incluse!) collegava i 130 km che separavano Lienz da Fortezza, affiancandosi alla linea del Brennero inaugurata nel 1867 e permettendo così di unire gli estremi lembi del Tirolo: da sud a nord, attraverso il passo del Brennero; da est a ovest, lungo l’attuale SS 49 e il fiume Drava. Socio di maggioranza della neonata linea ferroviaria era il famoso barone e miliardario Rothschild, citato in precedenza.



Foto d'epoca della stazione di Dobbiaco (www.trenietreni.it)

La ferrovia delle Dolomiti univa invece Calalzo a Dobbiaco, passando per Cortina. Anche se alcuni tratti furono costruiti a scopo militare dall’esercito austriaco, durante la Prima Guerra Mondiale, l’entrata in funzione definitiva avvenne nel 1921. L’elettrificazione del ‘28 presupponeva un lungo e duraturo successo, ma nel 1964, causa un utilizzo pressoché locale e non di massa, fu purtroppo soppressa. Attualmente l’ex strada ferrata ospita un’affascinante pista ciclabile, anche se alcuni tratti, soprattutto quelli nelle vecchie gallerie, sono accessibili solo a piedi.




La vecchia stazione di Carbonin (www.clamfer.it)


- Qualche curiosità -
Chiudiamo la nostra storia con alcuni aneddoti storici. Abbiamo parlato di Dobbiaco come meta turistica secolare. Ebbene, per offrire qualche cifra al lettore più curioso, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, nella sola stagione turistica estiva (giugno-settembre), il paese raggiungeva la bellezza di circa 150.000 pernottamenti! Come metro di paragone, pensate che nel 1959, sommando la stagione invernale e quella estiva, i pernottamenti furono “solo” 72.434 e dobbiamo aspettare il 1967 perché tocchino la considerevole cifra di 229.652 (fonte: Azienda di turismo e soggiorno del Comune di Dobbiaco).


Il lago di Dobbiaco

Ma non finisce qui. Il paese detiene due record assoluti dell’Alto Adige. Nel 1911 proprio qui fu edificato il primo trampolino di salto con gli sci[4] (oggetti scoperti nel 1890 dal pittore tedesco Emil Teschark durante un viaggio in Scandinavia e importati prima in Val Gardena poi a Cortina) e nel 1948 fu costruita la prima seggiovia che collegava Dobbiaco al Monte Rota. Funzionava – pensate un po’ – col motore di una vecchia Balilla! Purtroppo il versante troppo esposto al sole e poco ricco di neve fu la causa della sua successiva soppressione negli anni ’80, ma l’antico fascino e la copiosa gloria dureranno certamente sin quando avrà vita il borgo stesso borgo!


La ex "mono-seggiovia" del Monte Rota




[1] Vedi WIKIPEDIA
[2] HANS HEISS, Grand Hotel Dobbiaco . All’avanguardia del turismo nelle Alpi, Folio Verlag, Vienna-Bolzano, 1999
[3] WALTHER SCHAUMANN, Dobbiaco. Paesaggio e storia tra monti, defregger, Pusteria e Dolomiti, Ghedina e Tessori, Bassano del Grappa, 1986
[4] MICHAEL WACHTLER, Piccole storie di grandi persone. L’ascesa inarrestabile del paese di Dobbiaco, Ski Club Dobbiaco-Raiffeisen, S. Candido, 2000

giovedì 23 agosto 2012

LA “WEINSTRASSE”: STORIA, NATURA E…TANTO VINO


La “Weinstrasse” (o “strada del vino) è la via di comunicazione che, tra silenziose vigne, meleti e castelli, collega il comune di S. Michele all’Adige (TN) con Appiano (BZ) e, con questi, centinaia di anni di storia, cultura ed enogastronomia. La strada, da vivere nel modo più lento, rilassante e curioso possibile, s’insinua lungo la SP 90 e SP 14 toccando, nei suoi 30 km scarsi, paesi quali Caldaro e Termeno. Giungervi è molto facile. Consiglio di prendervi due giorni, possibilmente non oltre il sabato (la domenica le aziende vinicole sono tutte chiuse), e imboccare la A22 Modena-Brennero uscendo, appunto, a S. Michele all’Adige, subito dopo Trento; tempi di percorrenza 2.30-3 ore da Firenze, la mia città.



Il nostro tour enologico inizia a 2 km da qui, a Mezzolombardo, nella piana Rotaliana, madre del rosso Teroldego, corposo e fruttato, dove l’azienda principe è la "Cantina Rotaliana". Immancabile l’acquisto di un paio di bottiglie, non necessariamente Riserva.
La seconda tappa, una delle più succose, è Termeno, paese che, per i suoi prodotti enologici, sta diventando meta turistica molto affermata, tanto da essersi guadagnato sul campo, da pochi anni, la presenza a caratteri cubitali sul nuovo cartello di uscita autostradale, divenuto “Egna-Ora-Termeno”. Qui, nella patria indiscussa del Gewurztraminer altoatesino (il nome tedesco di Termeno è, per l’appunto, Tramin), la cantina regina è la pluridecorata e omonima "Tramin", che ha da poco inaugurato un punto vendita molto più grande e degno di un film di fantascienza. L’azienda propone nettari per ogni gusto e portafoglio (dai 7 ai 20 euro delle selezioni) e potete andare sul sicuro acquistando i principali bianchi Muller Thurgau, Traminer, Pinot Grigio, Pinot Bianco e le selezioni Montan, Nussbaumer, Stoan, Loan. Personalmente lascerei più in disparte i vini rossi.
Termeno è anche sede di alcune delle principali distillerie altoatesine, quali la "Rohner" (impedibile la grappa secca Gold) e la "Psenner" , i marchi più noti insieme a "Pircher" e “Walcher”. In tutte queste aziende segnalate sinora (e nelle prossime) troverete competenza, disponibilità e potrete fare assaggi gratuiti di quasi ogni nettare. Va da sé che, per una forma di galateo e di rispetto, è buona norma acquistare almeno una bottiglia o convergere sin da subito verso le numerose enoteche-bar se lo scopo del viaggio non è la “degustazione” ma la mera ciucca individuale o collettiva.


L'inteno della panoramica cantina Tramin

A 3 km da Termeno, Caldaro è la località che vi propongo per un comodo pranzo scaccia tossine, dopo il viaggio e le prime bevute. Qui effettuate una veloce puntata alle cantine “Kaltern Kellerei” (interessanti il rosso leggero Kaltern See, lo Chardonnay base e il Gewurztraminer superiore Campaner) e all’adiacente "Erste & Neue" (per uno Chardonnay o un Pinot Grigio) e subito dopo recatevi al ristorante Hernnhof (via Stazione), situato all’interno di un castello ristrutturato ma dal fascino antico. Nel menù, piatti di cucina italiana e tirolese. Se invece preferite un pasto più veloce e fatto in casa, subito sopra Caldaro, in località St. Nikolaus, di fianco al capolinea del pullman, Hermann e Margit Luggin vi aspettano nella loro casa-taverna-enoteca Steffelehof, con piatti caldi e freddi della tradizione, verdure del proprio orto e vini bianchi e rossi di loro produzione, ottenuti da selezioni di uve locali. Prima di salutare Caldaro, se in estate, non disdegnate un tuffo nel famoso lago dotato anche di stabilimento balneare con tutti i comfort.



Il comune successivo è quello di Appiano - il mio preferito - dove svolgerete la maggior parte del “lavoro” culturale ed enologico. Questo è costituito da alcune piccole frazioni (S. Michele, S. Paolo, Pigeno, Monte, Cornaiano, Frangarto, Pianizza) ed è il comune italiano col maggior numero di castelli presenti su territorio: circa 180 per non più di 10.000 abitanti! E, cosa ancor più interessante, alcuni si sono trasformati in alberghi o B&B, offrendo romantici e affascinanti soggiorni. Il capoluogo del comune è S. Michele dove, sopra la grossa rotonda sulla Weinstrasse, ha sede l’omonima casa enologica "St. Michael Eppan", una delle più premiate e decantate. Tra i rossi vi consiglio di gustare (ed acquistare) una bottiglia del corposo Legrein – da poche altre parti lo troverete buono così! – e il Cabernet; tra i bianchi, oltre ai classici, ottimo il Pinot Bianco, il Moscato secco (o Goldmuskateller) e l’ottimo Riesling Montiggler. Eccellente la linea superiore St. Valentin.

Uno sguardo sulla vallata da Monte

Azienda meno nota ma altrettanto valida è la “Brigl”, di cui vi suggerisco di sperimentare il Cabernet, il Pinot Grigio e l’ottimo Sauvignon. A un tiro di schioppo dal paese, nelle sovrastanti piccole frazioni di Berg/Monte e Pigeno, non perdete la distilleria "Walcher"  (con le grappe di Gewurztraminer e Moscato) e l’azienda “Stroblhof”, l’unica a vendere direttamente dentro il proprio hotel-ristorante i tre vini di produzione: un rosso e i due superbi Sauvignon e Pinot Bianco. Altre cantine presenti nel piccolo comune sono la “H. Lun” a Frangarto (da provare il Goldmuskateller), la “Lanzelin” a Cornaiano (interessante il Pinot Nero) e la “St. Pauls” a S. Paolo.



Visto che probabilmente le forze saranno al limite e le visioni multiple, Appiano è anche il luogo dove trascorrere almeno una notte. Le possibilità non mancano, come l’albergo Cavallino Bianco, nel centro di S. Michele, in un vecchio palazzo signorile del ‘600. Ma, se fossi in voi, prenoterei una doppia in qualche castello di Monte o Pigeno, come al Pashbach - il mio preferito - oppure presso Englar, Tschindlhof, Aichberg, per la modica spesa di 100-120 euro a stanza, prima colazione inclusa. Più costoso e moderno Castel Korb mentre, se per soggiorni più lunghi volete prenotare direttamente un appartamento, l’occasione giusta è Castel Warth. Maggiori informazioni su www.eppan.com. Qualsiasi sia la soluzione scelta, al mattino cercate di dedicare almeno un paio d’ore o ad una gita intorno ai due laghi di Monticolo o a una passeggiata tra Pigeno, Monte e S. Michele, lasciandovi affascinare dagli altri manieri, il verde, le vigne, il silenzio.


L'ingresso di Castel Paschbach

Sazi di caffellatte, strudel, pane nero, burro di malga, mieli e marmellate di montagna e aria buona, rimontate in macchina e proseguite sulla Provinciale fino alle porte di Bolzano, fermandovi subito in periferia presso il quartiere Gries, adiacente l'ospedale. Qui, in un vecchio convento medievale ancora abitato dai frati, è prodotto il miglior Lagrein altoatesino, quello della "Muri-Gries". Poco lontano, anche la sede della “Cantina produttori Bolzano”. Se decidete di fare una visita alla città, magari nel corso della pausa pranzo – personalmente sono però più innamorato della vicina Merano – non dimenticate che in piazza Walther è presente l’unico Sacher Shop italiano!
Da Bolzano, rimontate sulla A22 in direzione nord e uscite alla successiva Chiusa dove, sulla parallela SS 12 (Brennero-Abetone, sic!), trovate la pluripremiata "Eisacktaler", con i suoi superbi bianchi Muller Thurgau, Gewurztraminer e soprattutto il Kerner.
Se avete ancora tempo e voglia di bere per poi guidare fino a casa, tornando indietro, da Bolzano imboccate la SS 38 in direzione Merano e uscite a Terlano per indirizzarvi presso la “Terlan” che, nel medesimo punto vendita, gestisce anche i prodotti dell’azienda “Andrian” (Andriano) recentemente acquistata. Per andare sul sicuro, senza ulteriori degustazioni, acquistate almeno una bottiglia di Terlaner, una cuvee di Pinot Bianco, Chardonnay e Sauvignon Blanc.



Qui il nostro wine tour si esaurisce, ma prima di riaffrontare l'autostrada, consiglio un esame di autocoscienza e almeno una full immersion in pane nero, acqua, wurstel e canederli! Una postilla sulle grappe: oltre a quelle di etichetta, provate anche le "artigianali" a base di erbe di montagna (ruta, genziana, menta piperita, pino mugo, etc.) in vendita presso i masi di produzione o market specializzati. Il mio maso preferito è il Kraeuterhof a Montevila-Brunico, con oltre 20 distillati al suo attivo. Da da qui è un po' fuori mano, ma magari ve ne parlerò in uno dei prossimi interventi.


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