giovedì 21 agosto 2014

VINI, STORIA E CASTELLI TRA PONTASSIEVE (FI) E DINTORNI

 

Se ti ritrovi a passare il Ferragosto in campagna – nei dintorni di Pelago, per l’esattezza – e sei un amante di vini, misteri e antichi manieri, non è difficile riuscire a passare una bella giornata scoprendo luoghi affascinanti e sconosciuti ai più. Ecco quindi un breve itinerario tra borghi e paesi lontani dal turismo di massa del Chianti e dei grandi centri urbani.

Il punto di partenza del nostro breve viaggio è Pontassieve, quindici minuti da Firenze imboccando la SS 67 in direzione Arezzo e strategico snodo ferroviario e stradale verso Roma e la Romagna. Il primo insediamento (e il primo toponimo) fu il Castel S. Angelo, costruito dai fiorentini in pieno Medioevo. L’attuale nome è dovuto invece al ponte mediceo fatto edificare sulla Sieve: fiume che dopo un centinaio di metri confluisce nell’Arno. Dell’antico maniero e fortificazioni restano solo tre delle quattro porte (Filicaia, Fiorentina, Aretina o dell’Orologio) nella parte più alta del paese, inglobate in moderne costruzioni ma sempre affascinanti da vedere. Dolce e rilassante per chi – come me – ama il lento e silenzioso scorrere dell’acqua è il percorso lungo la Sieve che si dipana dall’antico ponte in mattoni rossi verso l’interno della vallata.


Da Pontassieve, imbocchiamo la SS 70 verso la Consuma. Il primo ricordo di antiche storie che incontriamo è Nipozzano, toponimo che suona un po’ come “luogo senza pozzo”, ovvero scarso di acqua. Ex minuscolo borgo fortificato predominato dal castello, è appartenuto sin dall’XI secolo ai conti Guidi (famosi signori del Casentino), per poi passare agli Albizi e, di mano in mano, fino ai Frescobaldi, attuali proprietari, che ne hanno fatto anche un ottimo punto d’incontro vitivinicolo. Notizie sul vino locale sono d’altronde già presenti in epoca rinascimentale, quando artisti come Donatello e Michelozzo erano soliti acquistare nettari provenienti da queste proprietà. Fu un antenato dei Frescobaldi che nel 1855 investì ben 1000 fiorini d’argento per iniziare la coltivazione di qualità sinora sconosciute in Toscana come Cabernet e Merlot, il cui mix ha dato origine al celebre vino “Mormoreto” degustabile – insieme a tutti gli altri – nella splendida cantina della tenuta. Severamente danneggiato dalla guerra del 1944 – così come la piccola adiacente chiesetta di S. Niccolò – il castello ha perso le due cinte murarie, ma resta un’imperdibile meta per un tuffo nel Medioevo e in un buon bicchiere di vino doc.


Una breve deviazione dalla SS 70 ci permette di visitare l’antico borgo di Pelago. Per i più, il paese è legato a una storico happening estivo di artisti di strada (“On the Road Festival”), ma gli amanti della storia sappiano che le sue origini si perdono nella notte dei tempi, tra etruschi e romani, e anche il significato del nome (“mare” oppure “massa d’acqua”) pare facesse riferimento a un antico bagno minerale presente all’epoca sulla SS 70 in direzione Pontassieve. Attraversando la strada di accesso, si arriva nella piazza principale del paese, con lo storico ex Palazzo Cattani divenuto a inizio Novecento sede del Comune, e un’accogliente trattoria di paese che ancora pubblicizza in bella vista “fagioli e bietole” come parte del menu principale. Dalla piazza, tramite una breve strada lastricata prima in discesa e poi in rapida salita, si accede all’antico castello (attestato in documenti nel 1089 come proprietà dei Conti Guidi) o quello che ne resta: le vecchie ali, infatti, sono state nel corso dei secoli ristrutturate, modernizzate e adibite a civili abitazioni, ma se quando si passa sotto il vecchio campanile della quattrocentesca Pieve di S. Clemente e si entra nel chiostro dell’antico maniero (attualmente giardinetto pubblico dove gli anziani, uscendo dalle adiacenti case, si siedono con la propria seggiola per fare conversazione), basta chiudere qualche istante gli occhi per lasciarsi trasportare da antiche storie e ricordi.


Risalendo alla fine del paese sulla SS 70, ci ritroviamo nell’abitato di Diacceto che s’inerpica a 500 metri d’altezza sfidando dall’alto Pelago, la valle di Vicano con i suoi castagneti e tutti i vigneti e ulivi che di qui a poco lasceranno il posto a boschi e foreste. L’origine del nome pare di derivazione tardo latina e indica il “diaccio”, ovvero il clima fresco che si respira a questa altezza: un po’ uno spartiacque tra la calda città e la fredda montagna che di lì a poco accoglie tutti i visitatori con i quasi impensabili 1000 metri del passo della Consuma. Il ricordo del Medioevo in questo paese è molto tenue e si limita a Villa Ciofi, residenza privata più volte rimodernata e costruita sopra un vecchio castello del XIV secolo, appartenuto a vari casati tra cui la famiglia Cattani. Dell’antico maniero resta però solo una torre, oramai inglobata nell’attuale residenza. La pieve di S. Lorenzo, chiesa del paese, è stata anch’essa rimodernata ma ospita una terracotta di Giovanni della Robbia a tema “Madonna con bambino”.

Usciti dal paese lasciamo definitivamente la SS 70 per dirigerci verso Ferrano, minuscolo borgo costruito lungo la stretta strada d’accesso. Ad accoglierci troviamo subito uno splendido castello con le sue torrette di guardia. Anche se un documento del 1098 attesta la presenza di un grosso maniero in loco, non lasciatevi tradire dall’apparenza: quello che avete davanti è della metà del XIX secolo, fatto costruire in stile gotico dalla famiglia De Grolè Virville. Torrini e muro di cinta sono addirittura del 1940, innalzati per dividere la proprietà dalla stretta strada. Ma voi fate finta di nulla, respirate a pieni polmoni e, se ne avete voglia, scegliete anche di trascorrervi un romantico finesettimana. Dall’altra parte della strada, una fonte sovrastata da un tabernacolo a tema religioso e, più in alto, la ex chiesa di S. Maria, soppressa come parrocchia nel 1574, ridotta in passato a fienile, ma ora sulla via del recupero. Superato il castello, incrociamo la piccola chiesa di S. Pietro, ricordata già nel XII secolo ma notevolmente modificata nel corso dei secoli. Al suo interno, un trittico di scuola fiorentina del XV secolo raffigurante una Madonna col Bambino. Usciti dal paese, la strada diventa sterrata ma praticabile anche in auto. L’ultimo baluardo, prima di entrare in mezzo al nulla (o al tutto) di secolari castagneti, è un’antica chiesetta sconsacrata e abbandonata, con la croce semi divelta ma accessibile tramite larghi scalini in pietra di chiara origine romanica. All’interno un affresco con la storia di un Cristo oramai lasciato alla ingloriosa mercé del tempo e i resti di un recente focolare. Costruita chissà quando in prossimità del ponte sul torrente Vicano, ben offre il senso di quello che stiamo per affrontare: alcuni chilometri immersi nel silenzio di alti alberi fatati, come trasportati dalla storia e dall’incedere di antichi misteri e magia.


Quando usciamo dalla boscaglia, uno splendido verde con girasoli e grida di bambini in festa ci accoglie: ci troviamo a Ristonchi (dall’etrusco Ristona, ovvero “cresta”), altro ex minuscolo borgo in mezzo al Valdarno e alla meravigliosa campagna toscana. Subito di fronte a noi si erge la splendida e compatta torre in pietra, ricordo dell’antico maniero medievale del XIII o forse XII secolo. Lo storico medievale fiorentino Giovanni Villani narra che in questa possente rocca si riunirono, tra il 1248 e il 1253, i Guelfi esiliati dal capoluogo. Accanto, la vecchia Chiesa S. Egidio visitabile solo di mattina. Come a Ferrano, anche questa rocca offre la possibilità di tranquilli soggiorni o, per chi come il sottoscritto è di passaggio, di una buona bottiglia di vino bianco o rosso “Fattoria di Castiglionchio”, prodotto nell’omonima tenuta di famiglia sopra Rosano.


Proseguendo lungo la strada in discesa, oramai tornata asfaltata, ci ritroviamo nell’abitato di Paterno dove ad accoglierci c’è la vecchia torre con l’orologio dell’ex Castel Sofia, ormai rimodernato e riportato a nuova vita come agriturismo e fattoria “Il Peraccio”.

Scendendo verso il Carbonile, prima di abbandonare definitivamente il bosco, sulla destra troviamo le indicazioni per salire al vecchio borgo di Altomena, toponimo forse etrusco di una località con castello risalente almeno al 1080. L’antico maniero del XII secolo, appartenuto anch’esso ai conti Guidi, come molte alte costruzioni di zona è stato nel corso del tempo trasformato prima in villa, poi nell’attuale fattoria che ha inglobato l’antica torre e la chiesa di S. Niccolò. La famiglia Sartori, attuale proprietaria, effettua la vendita diretta dei prodotti del luogo, come vino Chianti doc e olio.


Rientrando sulla strada e lasciandoci alle spalle, sulla destra, anche un piccolo borgo senza nome, quasi fantasma, increspato sull’altura di un colle con vecchie coloniche in pietra tuttora abitate ma visibilmente rovinate dal tempo, ci ritroviamo in località Carbonile sulla SS 69. La nostra gita è per ora terminata e Pontassieve, a un tiro di schioppo, ci aspetta nuovamente.

mercoledì 13 agosto 2014

A UN PASSO DA...SAN CANDIDO


Per la maggior parte dei nostri lettori (e non solo) la località altoatesina di San Candido, situata in posizione strategica a due passi dal confine di Stato con l’Austria e da quello regionale col Veneto, rappresenta solamente la location della fiction televisiva di Rai 1 “A un passo dal cielo”, interpretata dal sempreverde parroco-pistolero-forestale Terence Hill. Ma per quelli come me che la giudicano quasi una seconda patria, trascorrendovi le estati e gli inverni dalla tenera età di 1 anno – con l’aggravante di essere personalmente figlio di una delle prime turiste del centro Italia, presenza ininterrotta da fine anni ’50 alla sua morte – vedere quelle splendide immagini da cartolina in tv è un ulteriore riconoscimento verso un paese dove lascio sempre un pezzo di cuore. E detto, tra noi – di nascosto da mia moglie – dove vorrei vivere un giorno l’ultima parte della mia vita.


Il centro del paese durante le riprese

Certo, questo galleggiare al centro dell’attenzione degli ultimi anni, come una diva da prima pagina, ha anche i suoi risvolti negativi: quasi una Cortinizzazione” del paese – se mi si passa il termine – in cui vi si trascorre l’estate (o qualche inverno) non tanto per godere delle bellezze artistiche e paesaggistiche, quanto per dire “io c’ero, io ci sono stato”.

A tutti questi turisti cool, da aperitivo all’aperto nella piazza principale e da selfie in costume da bagno in qualche prato rigorosamente a bassa quota, ma anche a tutti coloro che il paese l’hanno visto solo in televisione, voglio raccontare l’altra San Candido: quella vera, ricca di storia, cultura, meravigliosi paesaggi, passeggiate e ottimi impianti sciistici per lo sport invernale.




- Un po’ di storia -
Le prime testimonianze di vita nel paese risalgono intorno al 1000 a.C.. Ritrovamenti archeologici sui Monti San Candido hanno portato alla luce oggetti di uso quotidiano e resti di nuclei abitativi appartenenti al popolo balcanico degli Illiri, ben noto ai Greci e ai Romani. Per la posizione strategica sull’importante via di comunicazione verso est, divenne successivamente ambita stazione di transito sia per i Celti, che su questi monti abitarono intorno al 500 a.C. - in particolare i Reti che si insediarono in tutta l'Alta Pusteria - e ai quali si deve probabilmente il toponimo tedesco Innichen (da Indiacu, “possedimento di bella immagine”), sia per i Romani, che vi giunsero nel 15 a.C. per poi proseguire in direzione Aquileia. Dall’unione della lingua Latina con il precedente dialetto Celto-Illirico prese forma il Ladino, parlato tuttora in alcune vallate altoatesine.

Fondamentale fu il periodo di dominazione romana, non solo per la creazione di un centro urbano vero e proprio - da loro chiamato Littamum - ma anche per i ritrovamenti archeologici. Nel corso dei lavori di ristrutturazione dell'Hotel Villa Stefania (lungo il fiume Drava, in direzione Versciaco) sono stati infatti riportati alla luce resti di antiche terme risalenti al II-III secolo d.C.. Trattasi di parti del pavimento originale, sotto il quale è stato rinvenuto pure una sorta di impianto di riscaldamento. 


Il resti del pavimento riscaldato presso le antiche terme

La fine dell’Impero Romano d’Occidente e la relativa assenza di un forte potere costituito portò a continui raid e invasioni da parte degli Unni e a lotte tra Slavi e Baiuvari (popolo germanico proveniente dalla Boemia, stanziatosi poi nell’attuale Baviera) per la conquista del territorio. Alla fine furono questi ultimi a spuntarla e il duca Tassilo III, di fede cristiana, nel 769 fece costruire proprio a San Candido un’abbazia dei Benedettini come avamposto per la conversione degli Slavi infedeli. Questa data viene universalmente riconosciuta come quella della fondazione vera e propria del paese.

Tutto il territorio del Tirolo (compresa l’intera Pusteria) entrò alla metà del XIII secolo nell’orbita della contea di Gorizia fino al 1500 quando, alla morte di Leonardo V, ultimo conte, passò per linea diretta a Massimiliano I di Asbugo, i cui successori regnarono fino alla sconfitta austriaca nella Grande Guerra. Come sappiamo, San Candido divenne infine italiana. Vale la pena, a conclusione, ricordare che il 3 marzo del 1945, agli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale, il paese fu bombardato dagli Alleati che distrussero – tra gli altri – lo storico convento dei Francescani successivamente ricostruito.



- Arte e cultura -
Con una storia che attraversa magistralmente antichità ed epoca moderna, numerose restano le testimonianze e i monumenti da visitare con stili che spaziano dal romanico al barocco.
Un ottimo esempio è la Collegiata[1], ovvero quel Duomo universalmente considerato come il miglior esempio di romanico di tutto l’arco alpino. La chiesa venne eretta nel XIII secolo al posto del citato convento benedettino (il campanile è invece del secolo successivo) e fu subito dedicata prima a San Candido (ecco svelato il toponimo italiano!), protettore del duca Tassilo III, fondatore del paese, e decenni dopo anche a San Corbiniano, patrono della cittadina bavarese di Frisinga, della cui diocesi faceva parte. Assolutamente da vedere gli affreschi interni, del XV-XVI secolo, la cripta e il crocifisso in legno con uno splendido Cristo che sovrasta curiosamente la testa di Adamo (a significare che è lui il nuovo uomo a differenza dell’altro egoista e peccatore), con ai lati Maria e Giovanni: la Chiesa che va avanti, che si espande anche dopo la sua morte.
All’esterno dell’edificio, oltre al cimitero amato al crepuscolo da tutti i giovani turisti filo-gothic, consigliabile una visita alla Prepositura del XIV secolo che ospita il museo, la biblioteca e l’archivio della Collegiata stessa. Da vedere sei secoli di sculture e pitture di scuola sancandidese, un magnifico esempio di stube del 1560, un messale risalente al XV secolo, alcune opere originali del filosofo giramondo di origine catalana Raimondo Lullo (1235-1316) e l’intera biblioteca appartenuta all’umanista Niccolò Polo (XV secolo): tutti indizi che dimostrano l’importanza del paese e della Collegiata anche come centro di ricerca scientifica.


La Collegiata

Per la cura quotidiana delle anime fu invece fatta edificare l’adiacente chiesa di San Michele, documentata già nel 1241 ma certamente più vecchia. La costruzione originale andò bruciata nel 1735, cosicché fu rifatta nello stile barocco dell’epoca e ultimata nel 1760. A differenza della Collegiata, la chiesa ha una sola navata ma è comunque impreziosita da splendidi affreschi sulla vita di San Michele eseguiti da Cristoph Mayr, pittore proveniente dalla cittadina austriaca di Schwaz.
La presenza del citato Convento dei Francescani, terminato nel 1698, fu osteggiata in ogni modo dal resto del clero locale, ma l’amicizia che legava l’ordine all’imperatore Leopoldo I fece sì che venne comunque ultimato. Il clima ostile e qualche sonora “gufata” parvero comunque protrarsi attraverso i secoli, visto che l’edificio fu non solo bombardato nel marzo del ’45, ma subì anche numerose alluvioni dell’adiacente Rio Sesto: non ultima quella del novembre 1966 che molti italiani (fiorentini in primis) ancora ricordano con timore. Da vedere nel chiostro ben 31 tavole sulla vita di Francesco dipinte nel 1709 dal frate Lukas Plazer.


L'interno di San Michele

La cappella Altoetting e del Santo Sepolcro è una curiosa costruzione composta da ben due cappelle addossate l’una all’altra: la prima ricorda quella della città bavarese di Altoetting, l’altra è un’imitazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme. L’idea venne a Georg Paprion, amante di entrambi gli stili, che così le ricostruì nel XVII secolo. Da vedere all’interno alcuni affreschi a cura della bottega del sancandidese Schranzhofer. L’imperatore tedesco Federico III se ne innamorò a tal punto che su questo ibrido modello fece erigere il suo mausoleo a Potsdam.
La residenza Frankenegg è invece una ex chiesa situata in via duca Tassilo 17, riconoscibile dagli infissi con i classici colori bianchi e rossi. Affascinante la cosiddetta “sala veneziana”, ideata nel 1720 da un artista lagunare con, tra gli altri, alcune mascheroni carnascialeschi scolpiti sulle pareti.

Appena fuori paese, il Castello del conte d’Acquarone, residenza privata appartenuta dopo la Grande Guerra a un ministro della real casa di Savoia, che contiene una delle più ricche collezioni al mondo di trofei venatori, e i bagni di San Candido: ex complesso di terme refrigeranti già frequentate nel XVI secolo da nobili e aristocratici. Oltre a poter bere acque di varia e ottima qualità (dagli anni ’60 trasportate in paese tramite una conduttura e imbottigliate con l’etichetta “Kaiserwasser”, essendo storicamente di grande gradimento sia per gli imperatori tedeschi Guglielmo e Federico che per l’austriaco Carlo) è ancora possibile vedere la struttura ormai fatiscente del vecchio Grand Hotel costruito nel 1856 (il più grande dell’intera Pusteria dopo quello di Dobbiaco, con 120 camere e 200 posti letto) e andato pian piano in rovina dopo la brusca fine del turismo dovuto alla Prima Guerra Mondiale, e visitare l’adiacente cappella dedicata a San Salvatore, anno domini 1594.


I resti del Grand Hotel

- Turismo, curiosità e spot invernale -
Frequentato – come detto – da imperatori tedeschi e austriaci, il paese già alla vigilia della Grande Guerra era meta turistica ambita, con villeggianti provenienti soprattutto da Austria, Ungheria, Prussia e nord Italia. Molte, se paragonate a una popolazione di residenti stabilmente intorno alle 3000 unità o poco più (erano 2600 nel 1950), sono le seconde case: 210 nel censimento del 2000, 316 in quello del 2007, anche se il Comune di San Candido cerca in ogni modo di scoraggiare la pratica[2]. Un buon disincentivo sono certamente i prezzi, ormai stabilmente sui 6000 euro/mq nonostante la crisi degli ultimi anni che ha portato a un generale abbassamento ovunque (a Cortina superano ancora i 10.000 euro!). E a qualcosa l’alto listino deve essere servito, visto che da un paio d’anni sulla facciata di alcuni appartamenti compare la medesima scritta “Zu verkaufen”.

Se gli amanti dello shopping e della vita sedentaria non resteranno delusi, tra negozi alla moda e una piscina super attrezzata, a godere saranno ancor di più i teorici della “sgambata”. Il bello di San Candido è, infatti, l’accessibilità di boschi, sentieri e impianti di risalita direttamente dal paese. Molte le facili passeggiate eseguibili con un comodo paio di scarpe (verso i Baranci, le sorgenti della Drava – unico fiume italiano che attraversa ben 5 stati diversi! – , la valle di Dentro col rifugio dei Tre Scarperi) o pedalando dolcemente verso Dobbiaco, Versciaco o addirittura Lienz. Non preoccupatevi: i 45 km di distanza hanno un favorevole dislivello di ben 600 metri all’andata, con possibilità di ritorno in treno con bici a seguito. Per i più piccoli, oltre a un parco giochi su una collinetta che sovrasta il paese, anche la novità del Funbob: una monorotaia di 1700 metri che dal rifugio Haunold trasporta fino a valle dei piccoli bob in metallo.


Il fun bob

San Candido è rinomata anche per lo sport invernale, con impianti e piste accessibili poco fuori dal centro del paese, a differenza di quasi tutte le altre località della Val Pusteria. Curiosa la loro nascita. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si cercò di creare anche il turismo invernale. Per non rovinare i pascoli, fu inizialmente prescelto il versante sotto i Monti San Candido e molti ancora ricordano, nel 1948, una sorta di slitta cumulativa trainata da un verricello per salire ad “alta” quota. L’esperimento però durò poco, così come quello di piccoli ganci a cui attaccarsi singolarmente, e fu poco dopo sostituito dal trattore di un contadino che, a pagamento, portava in vetta i primi sciatori. Ma a causa dei costi eccessivi e dal fatto che la neve su quel versante a fine gennaio era già sciolta, l’Azienda di Soggiorno decise di ripensare drasticamente la location e nel 1956, per 22 milioni delle vecchie lire, fece costruire sul lato Baranci la vecchia seggiovia monoposto. Per i principianti, nel 1959 ecco anche lo skilift sulla collinetta “Castello”. Col crescere dei consensi, presero pian piano forma tutti gli altri impianti di risalita, lo skilift principianti fu trasferito nel 1977 nell’attuale prato a valle e nel 1979 la seggiovia divenne a due posti. L’ultima trasformazione nel 1994 con i nuovi seggioloni a 4 posti e il trasferimento a valle (prima era all’altezza degli impianti sportivi) accanto allo skilift baby.


Sci sotto il rifugio Baranci


- San Candido e il cinema -
No, non voglio parlarvi della mini arena all'interno del centro Josef Resch, ma del cinema con la "C" maiuscola: quello che vede come protagonista il paese e i suoi figli. Poichè è sin troppo banale raccontare della già citata fiction con Terence Hill, voglio stupirvi con ben due storie di cui nemmeno il sottoscritto era a conoscenza. 
La prima è datata 1954. In quell'anno esce infatti al cinema il film "Orient Express" del grande regista Carlo Ludovico Bragaglia. La storia di per sè non è niente di particolare. Un treno internazionale (il nome Orient Express in quegli anni evocava uno straordinario fascino esotico) rimane bloccato per una frana in un paesino di montagna (San Candido), facendo nascere storie impensabili e amori impossibili tra i passeggeri e gli abitanti del luogo. Non vi preoccupate: gli attori non sono Herr Senfter o Frau Schaefer, bensì divi veri e propri come Silvana Pampanini (già protagonista all'epoca di pellicole quali "Bellezze in bicicletta" o "I pompieri di Viggiù"), la splendida ungherese Eva Bartok, i francesi Henri Vidal e Robert Arnoux, il tedesco Carl Jurgens, il nostro Folco Lulli (già in "Napoli milionaria"). La pellicola non ottenne - ahimè - uno straordinario successo ma chissà...magari, allora come adesso, dette un grande input al turismo di massa.



La seconda storia cinematografica riguarda invece un protagonista in carne e ossa: il regista Georg Tschurtschenthaler. Sicuramente il nome non evoca sold out da botteghino, ma il buon Georg è stato candidato nel 2004 al prestigioso premio "International Emmy Awards", assegnato ai migliori programmi televisivi prodotti al di fuori degli Stati Uniti d'America. Il regista altoatesino era stato inserito nella sezione "Arts Programming" per il lavoro Wagnerwahn, documentario sulla vita del compositore tedesco. Tschurtschenthaler collabora attivamente con la prestigiosa casa di produzione berlinese Gebruder Beetz e ha fondato a Bolzano la propria Echo film, con la quale cerca di valorizzare artisti altoatesini.


Nella speranza di non avervi tediato troppo, il mio saluto nasce spontaneo: arrivederci a presto a San Candido!





Le foto utilizzate per questo servizio sono tratte dal web o dall'Almanacco Alta Pusteria.


Bibliografia
KUHEBACHER, E., La marca di San Candido, Bolzano, Athesia, 1980
KUHEBACHER, E., Paesaggio culturale e artistico del territorio di San Candido, Associazione turistica di San Candido, 2003
EPPACHER, F., La collegiata di San Candido, Parrocchia di San Michele, 2011
WATSCHINGER, H., Dove si scia qui?, San Candido, Haunold, 2005
BOCHER, G., Dobbiaco all’alba del XVI secolo, Circolo culturale Alta Pusteria, 2006
ALMANACCO ALTA PUSTERIA, Estate 2015





[1] La “collegiata” è una chiesa di una certa importanza che non è sede vescovile (pertanto non può fregiarsi del titolo di cattedrale) ma nella quale è istituito un collegio di canonici.
[2] Linee guida del Comune di San Candido, Comune di S. Candido, 2009