Se ti ritrovi a passare il Ferragosto in campagna – nei
dintorni di Pelago, per l’esattezza – e sei un amante di vini, misteri e
antichi manieri, non è difficile riuscire a passare una bella giornata
scoprendo luoghi affascinanti e sconosciuti ai più. Ecco quindi un breve
itinerario tra borghi e paesi lontani dal turismo di massa del Chianti e dei
grandi centri urbani.
Il punto di partenza del nostro
breve viaggio è Pontassieve, quindici minuti da Firenze imboccando la SS
67 in direzione Arezzo e strategico snodo ferroviario e stradale verso Roma e
la Romagna. Il primo insediamento (e il primo toponimo) fu il Castel S. Angelo,
costruito dai fiorentini in pieno Medioevo. L’attuale nome è dovuto invece al
ponte mediceo fatto edificare sulla Sieve: fiume che dopo un centinaio di metri
confluisce nell’Arno. Dell’antico maniero e fortificazioni restano solo tre
delle quattro porte (Filicaia, Fiorentina, Aretina o dell’Orologio) nella parte
più alta del paese, inglobate in moderne costruzioni ma sempre affascinanti da
vedere. Dolce e rilassante per chi – come me – ama il lento e silenzioso
scorrere dell’acqua è il percorso lungo la Sieve che si dipana dall’antico
ponte in mattoni rossi verso l’interno della vallata.
Da Pontassieve, imbocchiamo la SS
70 verso la Consuma. Il primo ricordo di antiche storie che incontriamo è Nipozzano,
toponimo che suona un po’ come “luogo senza pozzo”, ovvero scarso di acqua. Ex
minuscolo borgo fortificato predominato dal castello, è appartenuto sin dall’XI
secolo ai conti Guidi (famosi signori del Casentino), per poi passare agli
Albizi e, di mano in mano, fino ai Frescobaldi, attuali proprietari, che ne
hanno fatto anche un ottimo punto d’incontro vitivinicolo. Notizie sul vino
locale sono d’altronde già presenti in epoca rinascimentale, quando artisti
come Donatello e Michelozzo erano soliti acquistare nettari provenienti da
queste proprietà. Fu un antenato dei Frescobaldi che nel 1855 investì ben 1000
fiorini d’argento per iniziare la coltivazione di qualità sinora sconosciute in
Toscana come Cabernet e Merlot, il cui mix ha dato origine al celebre vino
“Mormoreto” degustabile – insieme a tutti gli altri – nella splendida cantina
della tenuta. Severamente danneggiato dalla guerra del 1944 – così come la
piccola adiacente chiesetta di S. Niccolò – il castello ha perso le due cinte
murarie, ma resta un’imperdibile meta per un tuffo nel Medioevo e in un buon
bicchiere di vino doc.
Una breve deviazione dalla SS 70
ci permette di visitare l’antico borgo di Pelago. Per i più, il paese è
legato a una storico happening estivo di artisti di strada (“On the Road
Festival”), ma gli amanti della storia sappiano che le sue origini si perdono
nella notte dei tempi, tra etruschi e romani, e anche il significato del nome
(“mare” oppure “massa d’acqua”) pare facesse riferimento a un antico bagno
minerale presente all’epoca sulla SS 70 in direzione Pontassieve. Attraversando
la strada di accesso, si arriva nella piazza principale del paese, con lo
storico ex Palazzo Cattani divenuto a inizio Novecento sede del Comune, e
un’accogliente trattoria di paese che ancora pubblicizza in bella vista
“fagioli e bietole” come parte del menu principale. Dalla piazza, tramite una
breve strada lastricata prima in discesa e poi in rapida salita, si accede
all’antico castello (attestato in documenti nel 1089 come proprietà dei Conti
Guidi) o quello che ne resta: le vecchie ali, infatti, sono state nel corso dei
secoli ristrutturate, modernizzate e adibite a civili abitazioni, ma se quando
si passa sotto il vecchio campanile della quattrocentesca Pieve di S. Clemente
e si entra nel chiostro dell’antico maniero (attualmente giardinetto pubblico
dove gli anziani, uscendo dalle adiacenti case, si siedono con la propria
seggiola per fare conversazione), basta chiudere qualche istante gli occhi per
lasciarsi trasportare da antiche storie e ricordi.
Risalendo alla fine del paese
sulla SS 70, ci ritroviamo nell’abitato di Diacceto che s’inerpica a 500
metri d’altezza sfidando dall’alto Pelago, la valle di Vicano con i suoi
castagneti e tutti i vigneti e ulivi che di qui a poco lasceranno il posto a
boschi e foreste. L’origine del nome pare di derivazione tardo latina e indica
il “diaccio”, ovvero il clima fresco che si respira a questa altezza: un po’
uno spartiacque tra la calda città e la fredda montagna che di lì a poco
accoglie tutti i visitatori con i quasi impensabili 1000 metri del passo della
Consuma. Il ricordo del Medioevo in questo paese è molto tenue e si limita a
Villa Ciofi, residenza privata più volte rimodernata e costruita sopra un
vecchio castello del XIV secolo, appartenuto a vari casati tra cui la famiglia
Cattani. Dell’antico maniero resta però solo una torre, oramai inglobata
nell’attuale residenza. La pieve di S. Lorenzo, chiesa del paese, è stata
anch’essa rimodernata ma ospita una terracotta di Giovanni della Robbia a tema
“Madonna con bambino”.
Usciti dal paese lasciamo
definitivamente la SS 70 per dirigerci verso Ferrano, minuscolo borgo
costruito lungo la stretta strada d’accesso. Ad accoglierci troviamo subito uno
splendido castello con le sue torrette di guardia. Anche se un documento del
1098 attesta la presenza di un grosso maniero in loco, non lasciatevi tradire
dall’apparenza: quello che avete davanti è della metà del XIX secolo, fatto
costruire in stile gotico dalla famiglia De Grolè Virville. Torrini e muro di
cinta sono addirittura del 1940, innalzati per dividere la proprietà dalla
stretta strada. Ma voi fate finta di nulla, respirate a pieni polmoni e, se ne
avete voglia, scegliete anche di trascorrervi un romantico finesettimana.
Dall’altra parte della strada, una fonte sovrastata da un tabernacolo a tema
religioso e, più in alto, la ex chiesa di S. Maria, soppressa come parrocchia
nel 1574, ridotta in passato a fienile, ma ora sulla via del recupero. Superato
il castello, incrociamo la piccola chiesa di S. Pietro, ricordata già nel XII
secolo ma notevolmente modificata nel corso dei secoli. Al suo interno, un
trittico di scuola fiorentina del XV secolo raffigurante una Madonna col
Bambino. Usciti dal paese, la strada diventa sterrata ma praticabile anche in
auto. L’ultimo baluardo, prima di entrare in mezzo al nulla (o al tutto) di
secolari castagneti, è un’antica chiesetta sconsacrata e abbandonata, con la
croce semi divelta ma accessibile tramite larghi scalini in pietra di chiara
origine romanica. All’interno un affresco con la storia di un Cristo oramai
lasciato alla ingloriosa mercé del tempo e i resti di un recente focolare.
Costruita chissà quando in prossimità del ponte sul torrente Vicano, ben offre
il senso di quello che stiamo per affrontare: alcuni chilometri immersi nel
silenzio di alti alberi fatati, come trasportati dalla storia e dall’incedere
di antichi misteri e magia.
Quando usciamo dalla boscaglia, uno splendido verde con
girasoli e grida di bambini in festa ci accoglie: ci troviamo a Ristonchi
(dall’etrusco Ristona, ovvero “cresta”), altro ex minuscolo borgo in mezzo al
Valdarno e alla meravigliosa campagna toscana. Subito di fronte a noi si erge
la splendida e compatta torre in pietra, ricordo dell’antico maniero medievale
del XIII o forse XII secolo. Lo storico medievale fiorentino Giovanni Villani
narra che in questa possente rocca si riunirono, tra il 1248 e il 1253, i
Guelfi esiliati dal capoluogo. Accanto, la vecchia Chiesa S. Egidio visitabile
solo di mattina. Come a Ferrano, anche questa rocca offre la possibilità di
tranquilli soggiorni o, per chi come il sottoscritto è di passaggio, di una
buona bottiglia di vino bianco o rosso “Fattoria di Castiglionchio”, prodotto
nell’omonima tenuta di famiglia sopra Rosano.
Proseguendo lungo la strada in
discesa, oramai tornata asfaltata, ci ritroviamo nell’abitato di Paterno
dove ad accoglierci c’è la vecchia torre con l’orologio dell’ex Castel Sofia,
ormai rimodernato e riportato a nuova vita come agriturismo e fattoria “Il
Peraccio”.
Scendendo verso il Carbonile,
prima di abbandonare definitivamente il bosco, sulla destra troviamo le
indicazioni per salire al vecchio borgo di Altomena, toponimo forse
etrusco di una località con castello risalente almeno al 1080. L’antico maniero
del XII secolo, appartenuto anch’esso ai conti Guidi, come molte alte
costruzioni di zona è stato nel corso del tempo trasformato prima in villa, poi
nell’attuale fattoria che ha inglobato l’antica torre e la chiesa di S.
Niccolò. La famiglia Sartori, attuale proprietaria, effettua la vendita diretta
dei prodotti del luogo, come vino Chianti doc e olio.
Rientrando sulla strada e
lasciandoci alle spalle, sulla destra, anche un piccolo borgo senza nome, quasi
fantasma, increspato sull’altura di un colle con vecchie coloniche in pietra
tuttora abitate ma visibilmente rovinate dal tempo, ci ritroviamo in località
Carbonile sulla SS 69. La nostra gita è per ora terminata e Pontassieve, a un
tiro di schioppo, ci aspetta nuovamente.