giovedì 21 agosto 2014

VINI, STORIA E CASTELLI TRA PONTASSIEVE (FI) E DINTORNI

 

Se ti ritrovi a passare il Ferragosto in campagna – nei dintorni di Pelago, per l’esattezza – e sei un amante di vini, misteri e antichi manieri, non è difficile riuscire a passare una bella giornata scoprendo luoghi affascinanti e sconosciuti ai più. Ecco quindi un breve itinerario tra borghi e paesi lontani dal turismo di massa del Chianti e dei grandi centri urbani.

Il punto di partenza del nostro breve viaggio è Pontassieve, quindici minuti da Firenze imboccando la SS 67 in direzione Arezzo e strategico snodo ferroviario e stradale verso Roma e la Romagna. Il primo insediamento (e il primo toponimo) fu il Castel S. Angelo, costruito dai fiorentini in pieno Medioevo. L’attuale nome è dovuto invece al ponte mediceo fatto edificare sulla Sieve: fiume che dopo un centinaio di metri confluisce nell’Arno. Dell’antico maniero e fortificazioni restano solo tre delle quattro porte (Filicaia, Fiorentina, Aretina o dell’Orologio) nella parte più alta del paese, inglobate in moderne costruzioni ma sempre affascinanti da vedere. Dolce e rilassante per chi – come me – ama il lento e silenzioso scorrere dell’acqua è il percorso lungo la Sieve che si dipana dall’antico ponte in mattoni rossi verso l’interno della vallata.


Da Pontassieve, imbocchiamo la SS 70 verso la Consuma. Il primo ricordo di antiche storie che incontriamo è Nipozzano, toponimo che suona un po’ come “luogo senza pozzo”, ovvero scarso di acqua. Ex minuscolo borgo fortificato predominato dal castello, è appartenuto sin dall’XI secolo ai conti Guidi (famosi signori del Casentino), per poi passare agli Albizi e, di mano in mano, fino ai Frescobaldi, attuali proprietari, che ne hanno fatto anche un ottimo punto d’incontro vitivinicolo. Notizie sul vino locale sono d’altronde già presenti in epoca rinascimentale, quando artisti come Donatello e Michelozzo erano soliti acquistare nettari provenienti da queste proprietà. Fu un antenato dei Frescobaldi che nel 1855 investì ben 1000 fiorini d’argento per iniziare la coltivazione di qualità sinora sconosciute in Toscana come Cabernet e Merlot, il cui mix ha dato origine al celebre vino “Mormoreto” degustabile – insieme a tutti gli altri – nella splendida cantina della tenuta. Severamente danneggiato dalla guerra del 1944 – così come la piccola adiacente chiesetta di S. Niccolò – il castello ha perso le due cinte murarie, ma resta un’imperdibile meta per un tuffo nel Medioevo e in un buon bicchiere di vino doc.


Una breve deviazione dalla SS 70 ci permette di visitare l’antico borgo di Pelago. Per i più, il paese è legato a una storico happening estivo di artisti di strada (“On the Road Festival”), ma gli amanti della storia sappiano che le sue origini si perdono nella notte dei tempi, tra etruschi e romani, e anche il significato del nome (“mare” oppure “massa d’acqua”) pare facesse riferimento a un antico bagno minerale presente all’epoca sulla SS 70 in direzione Pontassieve. Attraversando la strada di accesso, si arriva nella piazza principale del paese, con lo storico ex Palazzo Cattani divenuto a inizio Novecento sede del Comune, e un’accogliente trattoria di paese che ancora pubblicizza in bella vista “fagioli e bietole” come parte del menu principale. Dalla piazza, tramite una breve strada lastricata prima in discesa e poi in rapida salita, si accede all’antico castello (attestato in documenti nel 1089 come proprietà dei Conti Guidi) o quello che ne resta: le vecchie ali, infatti, sono state nel corso dei secoli ristrutturate, modernizzate e adibite a civili abitazioni, ma se quando si passa sotto il vecchio campanile della quattrocentesca Pieve di S. Clemente e si entra nel chiostro dell’antico maniero (attualmente giardinetto pubblico dove gli anziani, uscendo dalle adiacenti case, si siedono con la propria seggiola per fare conversazione), basta chiudere qualche istante gli occhi per lasciarsi trasportare da antiche storie e ricordi.


Risalendo alla fine del paese sulla SS 70, ci ritroviamo nell’abitato di Diacceto che s’inerpica a 500 metri d’altezza sfidando dall’alto Pelago, la valle di Vicano con i suoi castagneti e tutti i vigneti e ulivi che di qui a poco lasceranno il posto a boschi e foreste. L’origine del nome pare di derivazione tardo latina e indica il “diaccio”, ovvero il clima fresco che si respira a questa altezza: un po’ uno spartiacque tra la calda città e la fredda montagna che di lì a poco accoglie tutti i visitatori con i quasi impensabili 1000 metri del passo della Consuma. Il ricordo del Medioevo in questo paese è molto tenue e si limita a Villa Ciofi, residenza privata più volte rimodernata e costruita sopra un vecchio castello del XIV secolo, appartenuto a vari casati tra cui la famiglia Cattani. Dell’antico maniero resta però solo una torre, oramai inglobata nell’attuale residenza. La pieve di S. Lorenzo, chiesa del paese, è stata anch’essa rimodernata ma ospita una terracotta di Giovanni della Robbia a tema “Madonna con bambino”.

Usciti dal paese lasciamo definitivamente la SS 70 per dirigerci verso Ferrano, minuscolo borgo costruito lungo la stretta strada d’accesso. Ad accoglierci troviamo subito uno splendido castello con le sue torrette di guardia. Anche se un documento del 1098 attesta la presenza di un grosso maniero in loco, non lasciatevi tradire dall’apparenza: quello che avete davanti è della metà del XIX secolo, fatto costruire in stile gotico dalla famiglia De Grolè Virville. Torrini e muro di cinta sono addirittura del 1940, innalzati per dividere la proprietà dalla stretta strada. Ma voi fate finta di nulla, respirate a pieni polmoni e, se ne avete voglia, scegliete anche di trascorrervi un romantico finesettimana. Dall’altra parte della strada, una fonte sovrastata da un tabernacolo a tema religioso e, più in alto, la ex chiesa di S. Maria, soppressa come parrocchia nel 1574, ridotta in passato a fienile, ma ora sulla via del recupero. Superato il castello, incrociamo la piccola chiesa di S. Pietro, ricordata già nel XII secolo ma notevolmente modificata nel corso dei secoli. Al suo interno, un trittico di scuola fiorentina del XV secolo raffigurante una Madonna col Bambino. Usciti dal paese, la strada diventa sterrata ma praticabile anche in auto. L’ultimo baluardo, prima di entrare in mezzo al nulla (o al tutto) di secolari castagneti, è un’antica chiesetta sconsacrata e abbandonata, con la croce semi divelta ma accessibile tramite larghi scalini in pietra di chiara origine romanica. All’interno un affresco con la storia di un Cristo oramai lasciato alla ingloriosa mercé del tempo e i resti di un recente focolare. Costruita chissà quando in prossimità del ponte sul torrente Vicano, ben offre il senso di quello che stiamo per affrontare: alcuni chilometri immersi nel silenzio di alti alberi fatati, come trasportati dalla storia e dall’incedere di antichi misteri e magia.


Quando usciamo dalla boscaglia, uno splendido verde con girasoli e grida di bambini in festa ci accoglie: ci troviamo a Ristonchi (dall’etrusco Ristona, ovvero “cresta”), altro ex minuscolo borgo in mezzo al Valdarno e alla meravigliosa campagna toscana. Subito di fronte a noi si erge la splendida e compatta torre in pietra, ricordo dell’antico maniero medievale del XIII o forse XII secolo. Lo storico medievale fiorentino Giovanni Villani narra che in questa possente rocca si riunirono, tra il 1248 e il 1253, i Guelfi esiliati dal capoluogo. Accanto, la vecchia Chiesa S. Egidio visitabile solo di mattina. Come a Ferrano, anche questa rocca offre la possibilità di tranquilli soggiorni o, per chi come il sottoscritto è di passaggio, di una buona bottiglia di vino bianco o rosso “Fattoria di Castiglionchio”, prodotto nell’omonima tenuta di famiglia sopra Rosano.


Proseguendo lungo la strada in discesa, oramai tornata asfaltata, ci ritroviamo nell’abitato di Paterno dove ad accoglierci c’è la vecchia torre con l’orologio dell’ex Castel Sofia, ormai rimodernato e riportato a nuova vita come agriturismo e fattoria “Il Peraccio”.

Scendendo verso il Carbonile, prima di abbandonare definitivamente il bosco, sulla destra troviamo le indicazioni per salire al vecchio borgo di Altomena, toponimo forse etrusco di una località con castello risalente almeno al 1080. L’antico maniero del XII secolo, appartenuto anch’esso ai conti Guidi, come molte alte costruzioni di zona è stato nel corso del tempo trasformato prima in villa, poi nell’attuale fattoria che ha inglobato l’antica torre e la chiesa di S. Niccolò. La famiglia Sartori, attuale proprietaria, effettua la vendita diretta dei prodotti del luogo, come vino Chianti doc e olio.


Rientrando sulla strada e lasciandoci alle spalle, sulla destra, anche un piccolo borgo senza nome, quasi fantasma, increspato sull’altura di un colle con vecchie coloniche in pietra tuttora abitate ma visibilmente rovinate dal tempo, ci ritroviamo in località Carbonile sulla SS 69. La nostra gita è per ora terminata e Pontassieve, a un tiro di schioppo, ci aspetta nuovamente.

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